Luisa Petrucci “Sig.ra Luisa”
 7 giugno 1931 - 12 ottobre 2005

Luisa Petrucci meglio conosciuta come la Sig.ra Luisa, la sua presenza costante ha accompagnato la militanza curvarola di molti di noi, il suo perenne sorriso anche nelle occasioni dove non è che ci fosse molto da ridere ha sempre rappresentato l’isola felice dove rifugiarsi.
Quell’ombrellino giallorosso continuamente aperto in ogni dove ha invece segnato la storia della tifoseria romanista, una chicca d’autore come la sua figura, così piena di umanità, così carica d’amore per i colori del cuore. 

Luisa, amica mia

Luisa. Cinque lettere per racchiudere un’amicizia, una complicità sotto i colori della Maggica.
Quando l’ho conosciuta, nel 1984 a Riscone di Brunico, dove la Roma era in ritiro, ha subito attirato la mia attenzione. In particolare, ero stata colpita dagli occhiali che avevano due cordicelle, una gialla ed una rossa. Avrei poi scoperto che tutti gli oggetti, tutte  le cose le capitavano per le mani, dovevano avere quei colori. Con il tempo diventammo amiche e compagne di viaggi soprattutto all’estero al seguito della Roma, quella dei Bruno Conti, dei Sebino Nela, dei Franco Tancredi, dei Mimmo Oddi, dei Roberto Pruzzo e di tanti altri campioni che abbiamo avuto la fortuna di conoscere e di frequentare. Non come adesso che non li puoi nemmeno avvicinare. Quante serate, quante foto! Ad Asiago, in un altro ritiro, si arrampicò sul balcone per mettere la bandiera della Roma!
Già, i viaggi, stessa camera e il ricordo del rumore delle buste di plastica che Luisa faceva al mattino presto, per mettere a posto le sue cose. Mi manca. A Mosca, nel ’91 credo, visitammo il mausoleo di Lenin. Luisa aveva un soprabito rosso con dietro il disegno della piazza Rossa. Entrammo e la salma di Lenin era lì, illuminata, mentre attorno era tutto buio. sfilammo attorno al feretro e improvvisamente ci prendemmo per mano in silenzio. Stavamo guardando insieme un pezzo di storia.
Come mi manca la sua risata, il suo essere improvvisamente seria quando le accennavo a qualche problema.
Ricordi tanti, a Praga faceva molto freddo. Ci vestivamo a cipolla e ad un certo punto mi chiese “ma tu a che strato stai?”. Raccontarli, mi rendo conto non fa effetto, viverli sì, con goliardia e semplicità e tra le due, nonostante fosse lei la più grande, la più energica era lei. Mai ferma, mai doma dalla stanchezza.
Un’altra volta a Copenaghen. Freddo e molto anche lì. Nilo Josa che aveva organizzato il viaggio, arrivati allo stadio ci indicò la tribuna al coperto e riscaldata a noi destinata. Lassù in alto. Ci guardammo e ci capimmo al volo: noi lassù in piccionaia al caldo con i vip? No, via giù a bordo campo al freddo e vicine ai giocatori. Ma che freddo!
Qualche trasferta l’ho bucata e tu un giorno mi dicesti: “Senza di te prendo la camera singola perché solo tu mi sopporti”. Che complimento!
E a Cesena in curva? A distribuire panini “ai ragazzi” e a calmare gli animi di qualcuno. Come ricordare tutto?
Il ricordo degli ultimi giorni, della malattia. Tristi e ancora vivi. Seduta accanto a lei già senza conoscenza e poi il saluto a San Giovanni Bosco, guarda caso nella chiesa dove da bambina avevo fatto la comunione. Che coincidenza.
Luisa. Come raccontare la Roma, quella Roma? Come far capire quanto sono cambiate le cose? Noi che, come dissi una volta al presidente Viola, non potevamo prescindere dal nome “Roma”, intesa anche come città. Ed è quello che resterà sempre, a prescindere dai presidenti, dai giocatori, dagli allenatori. Restano i colori Luì e un nome: Roma.

Emanuela

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